L’offerta su banchi e scaffali della GDO (grande distribuzione organizzata) in fatto di “biologico” è ormai ampissima. Cosa ci serve sapere per poter affrontare una spesa consapevole? Anche qui le certificazioni possono venirci in aiuto, la comunità europea ha previsto l’apposizione di un logo su quei prodotti che rispettano i criteri di “agricoltura biologica”, ma possiamo attivare un pensiero critico e di ulteriore sensibilità rispetto a quello che mettiamo nel carrello?
Nulla è un male o bene assoluto, dobbiamo però pensare all’intera catena produttiva ed all’offerta di prodotti che ci troviamo davanti. Scegliere facendo attenzione al logo del biologico (la famosa fogliolina composta da stelle) è un primo passo; ulteriori considerazioni possono essere fatte riguardo alla filiera corta, alla disponibilità del prodotto a livello stagionale (se fresco) , alla sostenibilitá e all’equosolidalità della catena che porta una confezione su uno scaffale. In un mondo ideale la spesa al mercato, nei piccoli punti vendita con prodotti locali o l’acquisto direttamente dal produttore della materia prima sarebbero le scelte più “virtuose”, ma non sempre si può conciliare tutto questo con la vita quotidiana, così come nei piccoli centri abitati realtà come i negozi di sfuso (anche secco) sono ancora a livelli minimi; quindi oltre ai piccoli accorgimenti di cui sopra, potremmo ragionare su piccoli aspetti facilmente applicabili anche alla GDO.
I legumi li troviamo sotto molte forme, potremmo valutare quelli secchi che, una volta rinvenuti, raddoppiano il loro volume ed hanno una durata di conservazione prolungata nel tempo (ma sono lunghi da preparare…che ne dite di questo piccolo obiettivo? Impostare una maggiore organizzazione dei pasti settimanali, partendo da pochi giorni inizialmente, e mettendoli a bagno durante la notte, così che il giorno dopo siano pronti per la preparazione?). Le verdure fresche: impariamo a conoscere la stagionalità delle colture e fare l’opposto di quel che spesso vediamo fare o abbiamo fatto noi stessi (perché sí, sí, lo abbiamo fatto tutti!) ogni giorno nel reparto ortofrutta: dei poveri ortaggi innocenti vengono pubblicamente denudati dalle loro foglie o ciò che è considerato scarto in nome del “non pago certo ciò che butto”. Quel che viene cosí facilmente considerato scarto non solo ci aiuta a riconoscere la freschezza di quel che acquistiamo, ma in realtà nella stramaggioranza dei casi è una parte riutilizzabile (ad esempio con le foglie ci si possono fare zuppe, brodi, insaporitori e un buonissimo dado, preparazioni semplici che non richiedono un grosso impegno di tempo in cucina).
Sempre nel prodotto fresco la provenienza ha una sua validità, così come gli imballaggi: proprio in virtù del fatto che “non si butta via niente”, scegliamo un frutto o un ortaggio sfusi, senza l’impiccio di vaschette, retine o uscendo fuori dalla comfort zone “ma questo è già pulito\tagiato\sbucciato” e ricordando che, nel fresco, se qualcosa non ha una forma perfetta, non è sinonimo di prodotto scaduto o di pessima qualità…anzi! I fattori che ci indicano la scarsa freschezza\qualità sono ben altri…ben vengano i bitorzoli!
Anche con la carne possiamo farci aiutare dalle diciture riportate sull’etichetta. Quello su cui possiamo maggiormente riflettere è l’obiettivo che abbiamo in mente, conoscendo quel che compriamo: per questo è importante approfondire cosa significhi “biologico” “filiera corta” “equo solidale” e via dicendo; la consapevolezza di quel che acquistiamo può concretamente aiutarci ad adottare uno stile di vita in linea con il proprio pensiero, a migliorare le proprie abitudini e far sí di mostrare a chi ci sta vicino un modo diverso di vivere il mondo che ci circonda. Fare la differenza nasce davvero da piccoli gesti, da un piccolo impegno che prendiamo e che arriva a diventare parte di noi, la nostra normalità… e sí, questo non significa non comprare mai più junk food o, presi dalla fretta, infilare prodotti a casaccio nel carrello… succederà anche questo, ma non sarà più la costante. In quel momento sarà ormai un’eccezione e ci daremo una pacca sulla spalla per quel percorso che abbiamo intrapreso.
Altra realtà che sta prendendo piede anche nei piccoli centri abitati, sono i GAS (gruppi di acquisto solidali), dove un gruppo di persone si rivolge a uno o più produttori facendo un unico ordine cumulativo(come all’ingrosso) abbattendo così l’intermediazione da parte della GDO, rispondendo ai principi di eticità (verso il prodotto e il produttore, acquistando direttamente da lui\loro), solidarietà e sostenibilità (spesso sono produttori del territorio, ma anche in caso contrario, si fa un unico ordine cumulativo evitando emissioni inutili da parte di più mezzi) e questo permette anche di abbattere i costi di prodotti di grandissima qualità e valore rispetto a comprarli tramite intermediari e attivando un discorso di rete fra persone, una piccola comunità, che nel tessuto social odierno è venuta a mancare. Ora lascio la parola a voi: cosa sareste disposti a cambiare nel vostro modo di fare la spesa? Quali fra questi accorgimenti mettete già in atto e, soprattutto, quali altri non in elenco vorreste condividere o avreste piacere a leggere in successivi articoli? Perchè c’è sempre da imparare e farlo insieme è più divertente e coinvolgente!